Articolo pubblicato su “La Voce della Vita” Ed. Giugno 2016
Gli occhi dei bambini: un portone sulla realtà
“Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.”
Il 28 marzo 2016 sono arrivata a Sucre, la capitale costituzionale della Bolivia, dove, ad accogliermi, ho trovato la mia collega e amica suor Sara che da anni lavora lì.
Il primo giorno sono andata a conoscere le suore che gestiscono e mandano avanti “l’hogar tata Juan de Dios”, l’orfanotrofio dove avrei svolto il mio servizio di volontariato per le due settimane successive. In questa casa sono ospitati una trentina di bambini, dei quali una metà ha meno di 2 anni e l’altra metà tra i 2 ed i 5.
È bastato il primo sguardo perché fosse amore per questi bambini che richiedono mille attenzioni, ma che hanno bisogno soprattutto di un abbraccio e di tanto affetto. Sono bambini che come tutti i bambini del mondo e forse più di tutti i bambini del mondo hanno una grande, enorme, imperiosa necessità: l’amore!
L’impatto più forte l’ho avuto conoscendo i bambini dai 3 ai 5 anni che, appena aperta la porta, mi sono saltati al collo gridando “mama, mama!!tu eres mi mama?”. E non volevano più lasciarmi andare via… La cosa che più colpisce è la spontaneità e naturalezza con cui dicono queste cose. Essendo bambini vivono tutto più semplicemente ma capiscono la loro situazione ed esternano la loro sofferenza con i loro comportamenti, i loro gesti, il loro modo di relazionarsi e soprattutto con la loro continua ricerca di affetto e fisicità, in competizione con gli altri probabilmente per sentirsi “scelti” dalla persona che hanno davanti.
È stato difficile allontanarmi da loro, nella prima settimana ho deciso di trascorrere più tempo con i bambini da 0 a 2 anni. Passavo le giornate con loro a giocare o a cercare di stimolarli per permettere uno sviluppo di alcune capacità e l’esplorazione dello spazio e della relazione con i coetanei. Insieme a me c’erano altri volontari che svolgevano il mio stesso servizio, alcuni erano lì da tempo altri erano solo di passaggio.
Il momento che mi ha toccato particolarmente è stato quello della “merenda”… È entrata la signora con i biberon e che ha passato a tutti e tutti si sono sdraiati e hanno iniziato a bere ognuno per conto suo. Io mi sono permessa di rompere quello che evidentemente una prassi consolidata e mi sono dedicata al più piccolino, Angel di 10 mesi, l’ho preso in braccio e gli ho offerto il biberon. È successo quello che mai avrei creduto possibile: il suo viso ha cominciato a parlare, i suoi occhi comunicavano la mancanza di amore e la gioia per quello che stava succedendo. Sono stata rimproverata perché il bambino avrebbe sofferto per il mio allontanamento nel momento in cui sarei andata via, ma non ero e non sono tuttora d’accordo: sarebbe importante che qualcuno, i volontari o le signore che vivono e lavorano lì, lo facesse sempre in particolare con i più piccoli. Questi bambini non devono essere privati di un momento così importante per il loro presente ed il loro futuro.
È vero non lo vivrebbero con la mamma, ma avrebbero comunque la possibilità di esprimere e comunicare con lo sguardo quello che sentono, che provano, quello di cui hanno bisogno perché proprio il contatto visivo permette di entrare in comunicazione che la persona che si occupa di loro.
Ho chiesto e domandato per le adozioni ma non vengono avviate le pratiche, tanto meno per quelle a distanza e a volte avevo la sensazione che le persone che lavorano lì siano “abituate” a quella condizione ed in quella situazione si siano “sedute”. E che non facciano molto per cambiare.
Ma non sarebbe giusto giudicare una situazione tanto difficile. Di certo questa esperienza è stata bella e positiva, ma mi ha anche lasciato tanta tristezza e desiderio di fare qualcosa che purtroppo è molto difficile da concretizzare… bisogna fare i conti con i propri limiti ed accettarli.
Un grazie speciale va a tutti gli amici di Roma che con le loro donazioni mi hanno permesso di comprare tanti materiali di cui la casa “Tata Juan de Dios” aveva bisogno. Ne hanno usufruiranno tutti i bambini lì ospitati. Ma i bisogni non si fermano ed anzi crescono. Ma sono felice di aver potuto portare un raggio di sole ed uno sguardo di amore.
“Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.”
Chiara Nardi