Articolo pubblicato su “La Voce della Vita” Ed. Giugno 2016
Prosegue l’approfondimento sulla fecondazione artificiale. Dopo esserci occupati, nel numero di Aprile, di quella assistita omologa passiamo adesso all’analisi della fecondazione eterologa. Si ricorre a questa tecnica quando una coppia, nonostante abbia provato a concepire per un anno, non riesce ad avere figli causa sterilità di uno dei due partner. Si interviene utilizzando il gamete, un ovulo o spermatozoo, di una terza persona, cioè il donatore in sostituzione al gamete sterile.
Prima di sottoporsi alla fecondazione eterologa è necessaria una valutazione medica, che possa accertare l’infertilità assoluta della coppia. I medici provvedono a stilare un’anamnesi basandosi sulla storia clinica dei partner. Prima di procedere al trattamento si cerca di capire se ci possano essere dei problemi che influiscono sulla fertilità, in modo da poterli eventualmente risolvere. Si fa una certa attenzione a valutare se sono in corso cure per tumori, uso di alcool o di tabacco.
Possono essere richiesti esami, come ad esempio quelli ormonali, per valutare lo stato di salute delle tube e dell’utero.
Dopo aver appurato l’infertilità assoluta di uno dei due componenti della coppia si procede con il secondo passaggio: la scelta del donatore.
Si può accedere ai gameti esterni tramite banche del seme per quelli maschili, e ovociti congelati nei centri stessi oppure donati da donne, a loro volta sottoposte alla fecondazione assistita per quelli femminili. I donatori maschi devono avere età compresa tra i 18 e i 45 anni e le femmine tra i 18 e i 35. Le coppie che avessero già ovociti o gameti all’estero possono richiedere, tramite il centro di fecondazione scelto, di trasferirli in Italia. Le linee guida per la fecondazione eterologa, inoltre, raccomandano che le caratteristiche fenotipiche del donatore, ad esempio il colore della pelle e degli occhi, siano compatibili con quelle dei familiari. Questo però non significa che si possa scegliere il colore degli occhi o dei capelli del nascituro a proprio piacimento, ma è solo una forma di tutela dell’equilibrio psico-emotivo del bambino. Il limite massimo di nati per ciascun donatore è di 10, anche se una coppia che abbia già avuto figli tramite eterologa potrà chiedere nuovamente lo stesso donatore. Quest’ultimo resterà anonimo, ma il bambino nato da fecondazione eterologa potrà chiedere di conoscerne l’identità una volta compiuti i 25 anni d’età. Il donatore sarà libero di accettare o meno la sua richiesta.
Il gameti scelti verranno utilizzati secondo varie tecniche distinte in tre livelli:
-Nel primo livello rientrano le pratiche meno complesse, che richiedono l’inserimento del liquido seminale nella cavità uterina.
-Le tecniche di secondo livello sono invece più invasive. Fra queste pratiche si può ricordare la fertilizzazione in vitro (Fivet).
Gli ovociti vengono posti su una piastra sulla quale si versa una goccia di liquido seminale. Se avviene la fecondazione, gli embrioni ottenuti, fino a un massimo di tre, vengono trasferiti nell’utero. Un’altra tecnica, utilizzata nei casi in cui l’infertilità maschile è più grave, consiste nell’inserire un singolo spermatozoo tramite una micro pipetta nell’ovocita.
– La tecnica di terzo livello richiede l’anestesia totale della donna e prevede la fecondazione in vivo. E’ ormai quasi inutilizzata poiché molto invasiva e poco ripetibile.
Le linee guida per poter accedere al trattamento sono attualmente al vaglio di Governo e Parlamento che stanno preparando un decreto per uniformare l’accesso alla fecondazione eterologa in tutte le Regioni d’Italia. Senza dubbio, per poter accedere alla fecondazione eterologa, è importante che i richiedenti siano maggiorenni; essi devono essere anche sposati oppure convivere in modo stabile. Inoltre coloro che vogliono accedere a questa pratica devono essere in possesso di un certificato di infertilità o di sterilità. La Conferenza delle Regioni, intanto, ha stabilito che i trattamenti costeranno tra i 400 e i 600 euro.
Arianna Traini