La pena di morte in Iran
Continua il nostro viaggio tra i Paesi che ammettono la pena di morte: analizziamo il caso della Repubblica Islamica dell’Iran.
(Ed. Gennaio 2016 – “La Voce della vita“)
La pena di morte è ammessa in alcuni casi dalla sharia (legge islamica derivata dal Corano e dalle raccolte di detti, fatti, silenzi e inazioni di Maometto che compongono la Sunna). Nei Paesi a maggioranza islamica è perciò spesso tollerata e inserita come pena massima per i reati previsti dal proprio codice penale. In passato abbiamo analizzato il caso dell’Arabia Saudita, “campione” degli islamici sunniti; questa volta ci occupiamo del Paese “campione” dei musulmani sciiti: l’Iran. L’attuale Repubblica Islamica dell’Iran si è formata dopo la rivoluzione del 1979. Un referendum successivamente indetto ha stabilito che il Paese si organizzasse come teocrazia.
I reati sono divisi in quattro macrocategorie dette Qesas, Hadd, Tazir e crimini di “deterrenza”. I Quesas sono quei reati per cui la famiglia dell’offeso può accettare un risarcimento in denaro da parte del colpevole oppure chiederne l’esecuzione. Il colpevole è riconosciuto tale in caso di confessione, di presenza di due testimoni oculari, di testimonianza giurata di almeno cinquanta persone oppure se una o più persone testimoniano almeno cinquanta volte contro l’accusato. I reati Hadd sono previsti dal Corano e dalla Sunna e il colpevole è ritenuto tale in caso di confessione o di testimonianza oculare di almeno due persone (quattro in caso di adulterio). I crimini Tazir sono puniti a discrezione del giudice, mentre quelli definiti di “deterrenza” hanno una pena prestabilita dalla legge e immutabile.
Il sistema giudiziario iraniano prevede tre tipologie di tribunali. Le corti di primo grado giudicano su reati Qesas e Hadd, le corti di seconda istanza si occupano dei reati minori, mentre le Corti Islamiche Rivoluzionarie hanno in carico i reati perpetrati contro lo Stato. Queste ultime e i tribunali di primo grado hanno la facoltà di comminare la pena capitale, la quale può essere appellata presso la Corte Suprema di Cassazione dell’Iran.
Tra i reati inclusi nelle quattro macrocategorie, quelli punibili con la morte sono: rapina a mano armata, tradimento, omicidio, traffico di stupefacenti, stupro, pedofilia, sodomia, sequestro di persona e terrorismo. Come sempre quando si parla di alcune categorie di Paesi, è necessario ricordare che i reati di terrorismo e tradimento includono anche comportamenti e atti che in Occidente sarebbero caratterizzati come semplice opposizione al Governo.
L’Iran ha eseguito le sue sentenze capitali in tre modalità: fucilazione, impiccagione e lapidazione. La prima è tutt’ora prevista dalle leggi penali del Paese, ma è caduta quasi in disuso. Storicamente è stata usata per punire i reati contro lo Stato e quelli militari e successivamente per il traffico di stupefacenti. L’ultimo caso conosciuto per il quale è stato usato questo metodo risale al 2008. La lapidazione è stata usata fino al 1981 quando fu bloccata dall’Ayatollah Khomeini ed è stata cancellata definitivamente nel 2012. Solitamente, era applicata per reati previsti direttamente dalla Sharia. L’impiccagione è il metodo principale per eseguire le sentenze che prevedono la pena di morte e lo strumento atto allo scopo non ha subito modifiche rispetto ai secoli scorsi. Come in Arabia Saudita, le esecuzioni possono essere pubbliche, anche se si tratta di una minoranza di casi. Questi ultimi prevedono solitamente la pena di morte comminata per stupro di gruppo, omicidio durante rapina a mano armata, infanticidio e ingente traffico di stupefacenti. Secondo fonti di Amnesty International, la moratoria sulle esecuzioni pubbliche, datata 2008, al 2011 non era stata ancora applicata. La maggior parte delle esecuzioni avvengono nei principali istituti penitenziari della provincia dove il reato ha avuto luogo. I familiari e i testimoni oculari del crimine sono invitati ad assistere. Nei casi di stupro, anche la famiglia del condannato è invitata ad assistere, per poter avere un incontro con quella della vittima e sperare in un atto di clemenza da parte di quest’ultima, che può concedere il perdono fino a un attimo prima dell’esecuzione. Anche in caso di omicidio, il parente più prossimo della vittima può concedere il suo perdono, persino durante l’esecuzione, che può essere interrotta (nei casi di impiccagione con il taglio della corda). Il prigioniero è informato uno o due giorni prima che l’esecuzione sia effettuata ed è messo in cella di isolamento.
Per concludere, secondo i dati di Amnesty International, nel 2011 in Iran sono state eseguite 360 condanne a morte, nel 2014 sono salite a 734. Solo nella prima metà del 2015 il numero si è attestato a 694, facendo prevedere un altro triste aumento.
Emiliano Battisti