(in “La Voce della Vita” ed. ottobre 2015)
E’ il Settembre del 1975 quando tra gli scaffali delle librerie si affaccia “Lettera a un bambino mai nato”: fondo bianco, doppia cornice sottile rossa e nera, letterina essenziale, nessuna immagine. Il successo è immediato e, nel giro di pochi mesi, il libro tocca la tiratura di 400.000 copie. Complice, in parte, la fama della Fallaci, in parte il dibattito sulla legalizzazione dell’aborto che, in quegli anni, catalizzava l’attenzione dell’opinione pubblica. Il 22 Maggio del ’78, difatti, l’Italia approverà la cosiddetta “194” che tramuterà l’aborto da reato in “diritto”.
“Non sono io la donna del libro,” risponde la Fallaci in un’intervista del 6 Ottobre 1975 ed è tuttavia innegabile quanto, di pagina in pagina, echeggi il ricordo di quell’Oriana che appena due anni prima, nel 1973, perse il bambino concepito con Alekos Panagulis.
D’altra parte, molto viene lasciato all’immaginazione; della protagonista non conosciamo né nome, né età, né volto. Solo poche, nebulose informazioni strappate qua e là tra le pagine del libro: donna in carriera, indipendente, nubile e tuttavia in dolce attesa. Sparute figure popolano il deserto in cui la protagonista si trova ad affrontare la propria gravidanza: un fantomatico amante, la cui presenza è per lo più una voce distante, appena udibile dall’altro capo di un telefono; un’amica, reduce da quattro aborti, e il dottor Munson, medico retrogrado e moralista.
La vicenda è appena lo scheletro del libro, il cui tragico epilogo è già intuibile dal titolo. Non rivelerò dunque le cause per cui la protagonista non riuscirà a dare alla luce questo bambino, prima indesiderato, poi ardentemente voluto. Parlerò del lungo dialogo tra una madre e il figlio custodito in grembo, del monologo di una donna a quella minuscola “goccia di vita scappata dal nulla”, di cui, una notte, nel buio, aveva con certezza percepito la presenza. “Esistevi”.
E dal momento che esisteva diventava un individuo in carne ed ossa e un cervello proprio, in grado di ascoltare e comprendere. “Bambino, e se nascere non ti piacesse? E’ una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele.” Con questo incipit inizierà una lunga riflessione, cinica e struggente, su temi come vita, libertà e amore, sul dilemma se sia giusto dare la vita e rinunciare alla propria libertà per darla. Parlerà con il suo bambino senza mai porsi il problema di quante settimane, mesi o anni avesse, rendendo la scelta tra aborto e maternità impossibile se non a prezzo della propria stessa morte.
La conclusione la porta ad ammettere che si, in fondo anche il dolore è da preferire al nulla, al vuoto. “Perché nulla è peggiore del nulla. Io temo il niente, il non esserci, il dover dire di non esserci stato. E se allargo questo alla vita, finisco con l’esclamare che nascere è meglio di non nascere.”
Alessandra Fioretti