(Ed. Novembre “La Voce della Vita”)
L’aborto farmacologico è un’opzione non chirurgica per le donne che vogliono interrompere la gravidanza entro la settima settimana nel rispetto della Legge 194 che disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) nel nostro Paese. Il 30 luglio 2009 l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato l’immissione in commercio della RU486, nota come pillola abortiva (da non confondere con la pillola del giorno dopo).
Per usufruirne bisogna rivolgersi al medico e, se sussistono le condizioni previste dalla legge 194, ci si dovrà sottoporre a un’ecografia ginecologica e a una visita di controllo che accerti che la gravidanza sia inferiore ai 49 giorni. Trascorsi sette giorni di riflessione (a meno che non sussistano gravi motivi di urgenza) è possibile presentarsi in ospedale per effettuare il trattamento.
L’aborto farmacologico, a differenza dell’aborto chirurgico, lascia alla donna la sensazione di procedura responsabilizzazione e coinvolgimento .
In un primo momento fu consentito solo tramite ricovero di tre giorni in ospedale. In seguito per diversi motivi è stato permesso anche in day hospital.
Come funziona?
E’ bene sapere che la gravidanza inizia quando l’ovulo fecondato aderisce alla mucosa dell’utero materno circa una settimana dopo il concepimento e viene favorita da uno specifico ormone chiamato progesterone il quale ha il compito di:
- Creare un ambiente favorevole allo sviluppo dell’ovulo fecondato, rendendo biologicamente accoglientela mucosa che riveste lo strato interno dell’utero (endometrio.)
- mantenere rilassata la muscolatura dell’utero (miometrio) durante la gravidanza.
- potenziarei vasi sanguigni deputati a nutrire l’utero e l’embrione.
Il trattamento farmacologico per l’IVG consiste nella somministrazione di due diversi tipi di compresse:
la prima è la RU486 a base di mifepristone, il quale impedisce le azioni tipiche che il progesterone svolge all’inizio della gestazione e s’ingerisce per via orale.
La seconda è a base di prostaglandina (misoprostol) che, assunta per via orale o vaginale 24-48 ore dopo (se non si è verificata già l’espulsione della mucosa e dell’embrione), stimola ulteriormente le contrazioni uterine. Tutto ciò arresta la crescita del sacco embrionale, ne determina il distacco “a stampo” (sacco amniotico, embrione, liquido amniotico, placenta) dalla parete dell’utero e la successiva espulsione mediante sanguinamento e contrazioni. L’embrione espulso misura circa un centimetro e non è distinguibile dal sangue mestruale. La completa espulsione del sacco embrionale viene verificata con un’ecografia 14 giorni dopo il trattamento. Rispetto ai metodi tradizionali l’aborto con la Ru486 non richiede anestesia e, se usata correttamente, funziona nel 95% dei casi. Nel caso in cui l’espulsione del sacco embrionale non sia avvenuta completamente è necessario completare l’asportazione con un intervento chirurgico di raschiamento. Non mancano alcuni effetti collaterali legati principalmente all’utilizzo delle prostaglandine, quali il dolore di tipo crampiforme che può variare da forte variabile fino a raggiungere picchi molto intensi e aumenta in prossimità dell’espulsione, quindi nausea e vomito, e infine sanguinamento, con perdite ematiche massime al momento dell’espulsione, che persistono per almeno una settimana o anche più a lungo.
E’ importante sapere che, qualora la donna decidesse di proseguire la gravidanza dopo l’assunzione, non andata a buon fine, del primo farmaco (mifepristone) il rischio di malformazione non aumenterebbe in alcun modo. Se intendesse proseguire, a seguito di un’ulteriore mancata efficacia, dopo l’assunzione del misoprostol (secondo farmaco), subentrerebbero rischi di malformazioni e malattie congenite.
Arianna Traini