Se l’embrione non è un oggetto, cos’è?

La storica sentenza della Cedu sul Caso Parillo
riapre il dibattito sui diritti dell’embrione
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  1. La CEDU sceglie di schierarsi col più debole.

Il 27 agosto 2015 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[1] ha emesso una sentenza che può essere qualificata come storica: i giudici di Strasburgo hanno stabilito il divieto di utilizzazione degli embrioni umani per la ricerca scientifica, ribadendo che non possono in alcun modo essere ridotti a una proprietà. In altre parole, la vita umana non è un oggetto.

La recente sentenza, relativa al caso Parillo c. Italia, ha preso un’importante posizione in merito all’art. 13 della legge n. 40 del 2004, che disciplina le tecniche di procreazione medicalmente assistita. Il presidente del Movimento per la vita, Gian Luigi Gigli, ha espresso grande soddisfazione per la decisione della Corte, auspicando che anche per i 60.000 embrioni umani congelati in Italia possa aprirsi una speranza di vita.[2]

La questione della crioconservazione degli embrioni impone una riflessione etica sul valore della vita umana, poiché con tali pratiche scientifiche sono messe in discussione le classiche categorie etiche – culturali: l’idea di matrimonio non è più concepito come luogo esclusivo di procreazione; il significato della paternità e della maternità è dissociato e lottizzato tra la sfera biologica e quella sociale; si paventa, addirittura, uno pesudodiritto al figlio[3]. Nelle righe che seguono, la riflessione parte da una domanda: se l’embrione non è un oggetto, cos’è? Per rispondere a questo non facile quesito proporremo due risposte attinenti a due ambiti di ricerca diversi: quello medico e quello giuridico.

  1. Medicina e biologia riconoscono l’embrione come persona.

In una società globalizzata come la nostra, uno degli strumenti migliori per sostenere le proprie idee è rifarsi ai progressi scientifici e agli studi di importanti e autorevoli scienziati. Degno di nota è quanto contenuto in un moderno manuale universitario di embriologia nel quale l’autore afferma che «lo sviluppo umano inizia dalla fecondazione, cioè il processo durante il quale il gamete maschile o spermatozoo si unisce ad un gamete femminile (ovulo) per formare una singola cellula chiamata zigote. Questa cellula totipotente altamente specializzata segna il nostro inizio come individuo unico […]. Uno zigote è l’inizio di un nuovo essere umano (cioè, l’embrione)»[4].
La scienza è concorde nel sostenere che a partire dal concepimento lo sviluppo dell’embrione è continuo, autonomo (autodiretto), finalisticamente orientato[5]. Insomma, la ricerca embriologica riconosce questo dato come incontrovertibile[6]. Ora, nel suo essere biologicamente un individuo umano, l’embrione deve essere considerato come “un altro”, al quale va riconosciuto il suo valore intrinseco di soggetto. Ed è proprio con riferimento a questo aspetto che si lega la prova giuridica.

  1. L’embrione e i suoi diritti. Breve analisi della giurisprudenza di Strasburgo

Proprio in virtù dello status di individuo, quindi di persona, l’embrione è (e deve essere) titolare dei diritti fondamentali riconosciuti a tutti gli uomini in quanto tali. Fra questi, come ha puntualmente affermato la stessa CEDU, vi è il diritto alla vita, primo e fondamentale presupposto di ogni altro diritto, principio essenziale delle moderne società democratiche.[7] In particolare, i giudici di Strasburgo, a proposito dello statuto dei diritti dell’embrione, avevano preso un’altra importante decisione[8] riconoscendo che, essendo già l’inizio della vita umana, l’embrione non può essere paragonato ad un oggetto e proprio per questo, come sostenuto nel caso in esame, non è brevettabile.

Queste decisioni, consolidando sempre più il soft law, cioè uno stato primordiale di opinio iuris che ne orienta la formazione, sono veramente un seme di speranza. Infatti, non servono soltanto a decidere il caso per il quale la Corte è stata attivata, bensì chiariscono, salvaguardano e sviluppano le norme della Convenzione, contribuendo a rafforzare gli impegni che gli Stati contraenti, come ad esempio l’Italia, hanno assunto in qualità di Parti Contraenti[9].

Insomma, la corte di Strasburgo «ha scritto una pagina decisiva per sottrarre la vita umana agli artigli dell’industria che la vorrebbe disponibile e passiva come una cavia».[10]

Soddisfatti per questo forte segnale giuridico, dobbiamo essere decisi e coesi nel nostro impegno per la difesa della vita. Lavoriamo, con instancabile abnegazione, per far germogliare questo seme di speranza.

Massimo Magliocchetti

(in “La Voce della Vita”, ed. ottobre 2015)


[1]              Di seguito indicata come CEDU.

[2]              La nota del presidente Gigli è stata pubblicata da www.siallavitaweb.it il 28 agosto 2015, il sito web d’informazione del Movimento per la Vita.

[3]              Cfr. L. Lorenzetti, L’ingegneria genetica e riproduttiva. Problemi etici., in «Credere oggi» – Anno VII, n.6 – 42, 1987, p. 50 – 61.

[4]              K.L. Moore, The developing human: clinically oriented embryology“, Saunders 2003, pp. 2, 16.

[5]              Cfr. C. Casini, “Le cinque prove dell’esistenza dell’uomo”, San Paolo, 2010, p.29.

[6]              Per approfondire la tema si consiglia la lettura di: A. Serra, “La realtà biologica del neo- concepito”, in La Civiltà Cattolica 126 (1975) III, pp. 9 – 23; A. Serra, “Embrione umano, scienza e medicina”, in La Civiltà Cattolica 138 (1987) II, pp. 247 – 261; A. Giuli, “Inizio della vita umana individuale, Basi biologiche e implicazioni bioetiche”, Aracne, 2005; C. Casini, “Le cinque prove dell’esistenza dell’uomo, alla radice della bioetica e della biopolitica”, San Paolo, 2010;

[7]              Cfr. Caso Mc Cann e altri c. Regno Unito, 27 settembre 1995, n. 146- 147; Caso Makaratzis c. Grecia, 20 dicembre 2004, ricorso n. 50385/99, §56.

[8]              Cfr. Brustle c. Greenpeace, Sentenza del 18 ottobre 2011.

[9]              Cfr. Irlanda c. Regno Unito, Sentenza del 18 gennaio 1978, p. 26.

[10]             F. Ognibene, Embrione umano, il diritto affermato., in Avvenire, 28 agosto 2015.

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