Articolo pubblicato su Avvenire il 2 ottobre 2015, p.12
nella pagina a cura del Movimento per la Vita
Sono più di un migliaio le giovani, soprattutto romene, schiave del caporalato sessuale perpetrato dai proprietari delle serre ortofrutticole siciliane.
A denunciare la tragica realtà, soffocata dall’omertà degli abitanti, è stato un coraggioso parroco di Vittoria (Ragusa), don Beniamino Sacco. Le giovani immigrate sono sfruttate nei campi dell’orrore, violentate sessualmente e costrette ad abortire, spesso in condizioni di clandestinità.
La loro giornata inizia all’alba. Dai fatiscenti casolari impiegati come abitazioni di fortuna, si avviano in gruppo verso le calde serre dei loro padroni, consapevoli che dopo il duro lavoro dei campi, come se non bastasse, sarà consumato l’ennesimo abuso. I loro volti sono segnati dalla sofferenza e dalla stanchezza: sono costrette, infatti, a lavorare dalle dieci alle dodici ore al giorno tra le bianche tele di plastica delle serre, senza misure di sicurezza né tanto meno con un salario dignitoso. Hanno un solo obiettivo: sopravvivere. La dipendenza assoluta e la mancanza di alternative costringe le giovani romene a divenire vere e proprie schiave del sesso. Un orribile ricatto priva loro della dignità ferendole nel profondo.
Omertà e ipocrisia prevalgono sull’indignazione. Tutti sanno ma nessuno si mobilita. Tutti tranne uno. Don Beniamino ha abbattuto il muro del silenzio. La sua è una coraggiosa denuncia volta a ridare dignità a queste giovani donne. Nonostante le numerose minacce ricevute dagli uomini delle campagne dell’orrore, padre Beniamino non si ferma. La sua battaglia si sviluppa su due binari paralleli: la denuncia dello sfruttamento sessuale e quella degli aborti forzati.
Quest’ultima si presenta come una tragedia nella tragedia. Da alcuni anni Vittoria è il primo comune in Italia per numero di aborti legali in proporzione agli abitanti. Il caporalato sessuale ne è una delle maggiori cause, sebbene non sia l’unica. Alcune donna richiedono l’Igv più volte nel giro di un anno. Accompagnate dai loro padroni, sottoposte a ricatti e violente pressioni, sono costrette a rinunciare alla loro gravidanza per insabbiare l’abuso subìto. Altre donne, dopo viaggi estenuanti vengono fatte abortire nei paesi di origine. Altre sono sottoposte ad aborti in ambienti clandestini e malsani.
Urge una mobilitazione nazionale per fermare questa drammatica realtà. Interrompere il muro omertoso su questa vicenda non è solo un atto di civiltà verso queste giovani donne: deve diventare un imperativo categorico, soprattutto per quanti, come noi del Mpv, sono in prima a linea nel prevenire e contrastare l’aborto. Non lasciamo solo Don Beniamino.
Massimo Magliocchetti
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A Maria Luisa,
con stima e affetto.